Lo spazio del punto vendita, mai come oggi, necessita di un up-grade per rispondere alle attese del cliente di oggi. Quali sono queste nuove esigenze?
«Continuiamo a raccontarci la storia della shopping experience, pensando di liquidarla con qualche attrazione tecnologica (schermi al plasma, camerini digitali), che il più delle volte finisce per restare un costoso e poco utile strumento che i sale assistant non utilizzano e di cui i clienti non sanno che fare. Forse, come di consueto, sono in contro tendenza, lo so, ma credo che le nuove esigenze dei clienti non passino dall’introduzione in boutique di chissà quale trovata tecnologica, credo invece che sia prioritario in grado di fare davvero la differenza ritrovare l’elemento umano, ovvero quella relazione di fiducia e di confidenza che permette di fare i propri acquisti in totale serenità. Oggi più che mai. I soldi per tutti sono una risorsa da non disperdere e il desiderio di entrare in negozio a volte diventa una scelta sofferta più che un divertimento».
Parliamo di una rivoluzione che pone in primo piano la figura del venditore e che passa da una rivalutazione ad ampio spettro del suo ruolo e dalla necessità di una formazione specifica: in cosa consiste praticamente questo cambiamento?
«Oggi è necessario valorizzare lo spazio fisico di negozio, per contrastare il dominio della vendita on line. Si rende necessario quindi far crescere la cultura della vendita dal vivo, in grado di mettere al centro il ruolo del venditore in relazione al cliente. È necessario far comprendere ai venditori quanta differenza possano fare attraverso le loro capacità e competenze, nell’esperienza del cliente. I negozi stanno diventando sempre più nicchie di esperienza dal vivo e luoghi di intrattenimento, per questo dobbiamo ripensare le logiche e le metodologie della formazione dei sales assistant, creando una didattica innovativa, in grado di potenziare le soft skills e trasformarle in powered skills, in risorse e capacità potenziate, che sappiano valorizzare lo spazio del negozio e far vivere un’esperienza coinvolgente ed appagante al cliente. Forse domani pagheremo un biglietto di ingresso in negozio? Certo, se varrà ovviamente la pena entrarci».
Il nostro orizzonte è ormai globale e dobbiamo sempre più guardare al numero di potenziali clienti disposti ad entrare nei negozi che cresce in maniera esponenziale. Si tratta dei nuovi clienti provenienti dai mercati emergenti: da dove provengono in particolare? Quali sono le loro principali caratteristiche?
«I mercati emergenti sono sicuramente il mercato cinese, indiano,arabo. Il mercato da sempre rappresenta un pratico strumento di integrazione delle differenze in nome del business. Poco poetica come prospettiva, forse, ma molto pragmatica. Il contesto globale in cui viviamo ci sottopone continuamente di fronte a pressioni e tensioni che alimentano lo scontro tra culture e radicalismi a volte folli. Ebbene il fatto che esista un mercato globale e che il punto vendita possa essere uno dei fulcri in cui alimentare processi di integrazione interculturale virtuosi non è un elemento da sottovalutare. Ma per far ciò è necessario prepararsi all’integrazione. Un cliente russo ha una modalità di interazione con lo spazio di acquisto ed un approccio alla relazione completamente diverso dal nostro. Possiamo nutrirci di gesti che appartengono a codici culturali diversi dal nostro per facilitare la comunicazione con il cliente straniero, affinché il presupposto della relazione diventi il riconoscimento e non il rifiuto. Il venditore non sarà soltanto un professionista della relazione dal vivo e della vendita. Indirettamente è, se preparato, mediatore interculturale, facilitatore delle interazioni. E direi che mai come oggi c’è un gran bisogno di persone dotate di queste attitudini».
Quali sono le azioni di vendita “all cultural inclusive”?
«Esistono delle strategie che sono, dal punto di vista della relazione, transculturali, universalmente comprensibili. Si tratta di attitudini più che di comportamenti, da cui poi, ovviamente deriviamo delle azioni. Alla base di queste attitudini ci sono valori che le ispirano e che si formano durante lo sviluppo delle nostre identità. Per fare vendita interculturale efficacemente, è fondamentale la disponibilità al controllo del potenziale conflittuale, elemento molto delicato, presente in ogni relazione. Ogni relazione contiene alla base un potenziale di conflitto che, potremmo dire, non aspetta che di essere liberato. Impariamo a controllarlo crescendo insieme agli altri. Il potenziale conflittuale è soprattutto presente nella vendita interculturale, poiché più esposta, dal momento che gli interlocutori non condividono il codice culturale, ad interpretazioni reciprocamente errate dei propri comportamenti. Ovviamente in una relazione di vendita sarà il Sales Assistant a dover fare il grosso del lavoro, sintonizzandosi sul codice culturale del cliente che ha di fronte. In quest’ottica parliamo di neutralità culturale quale presupposto per personalizzare l’approccio alla relazione di vendita interculturale. Si tratta di una disponibilità a customizzare, interculturalmente, i propri comportamenti».
La finestra interculturale è un momento di riconoscimento e valorizzazione della cultura d’appartenenza del cliente: è un altro dei principi esposti all’interno del libro. Perché è necessario aprire una digressione e far procedere la relazione su un livello parallelo a quello commerciale?
«Il concetto di per sé è molto semplice: si tratta di cogliere le opportunità che il cliente stesso ci fornisce per aprire un varco -nel libro la chiamiamo finestra interculturale appunto -nella relazione di vendita. Si tratta di uno spazio in cui far procedere la relazione su temi non strettamente attinenti alla vendita. “Da dove viene?”, è una semplice domanda che sposta la relazione su un piano personalizzato, in cui mostriamo interesse e curiosità. Se il venditore è molto bravo riuscirà ad utilizzare le informazioni raccolte nella finestra nella proposta commerciale, che sarà quindi fatta apposta per quel cliente».
Cosa è necessario sapere quando si vende ad un cliente russo?
«È necessario gestire con attenzione il potenziale di conflitto. I russi hanno uno stile relazionale estremamente diretto, assertivo, che, lato nostro, potremmo recepire come offensivo, arrogante, poco educato. Dobbiamo fare molta attenzione nel distinguere tra educazione e stili/codici relazionali. Il problema è che spesso attribuiamo ad un segno comportamentale (un gesto, uno sguardo, una parola) che non conosciamo qualità negative, perché noi le recepiamo mediante i nostri filtri culturali, in cui quel segno ha valori diversi».
E ad uno arabo?
«È necessario gestire con attenzione lo sguardo. Il contatto visivo prolungato, che nella nostra cultura è accettato in quanto segno di attenzione, interesse, coinvolgimento, nella cultura araba potrebbe essere interpretato come sfida. Quindi è opportuno dosare bene il tempo di contatto visivo per evitare misunderstanding».
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