Al lavoro sull’inclusività

L’idea di Look at Me! nasce in maniera embrionale nel 2012 durante il Corso di Alta formazione in Toy Design presso il Politecnico di Milano. «Decisi di prendere – spiega Anna De Vecchi, fondatrice di Look at Me!, insieme a Giovanna Culot – parte al corso con lo scopo di comprendere a fondo le problematiche connesse alla progettazione di articoli di puericultura, ma anche con il desiderio di conoscere le dinamiche che spingono un bambino a scegliere un giocattolo al posto di un altro, quali canali distributivi stanno soppiantando quelli che muovevano il mercato fino a una decina di anni fa, quanto i media influenzano le scelte di genitori e parenti, quanta cura esiste nell’ideazione di prodotti così semplici eppure così importanti, che finiscono nelle culle o nelle mani dei nostri figli. Ho notato poca attenzione alle reali esigenze dei bambini e alla loro crescita armonica, tranne alcune eccezioni, e questo mi fece venir voglia di cambiare le cose, soprattutto come designer. Dialogando con una nonna di una bambina affetta da disabilità visiva di questa mia constatazione, lei mi fece presente il vuoto nel quale si muovevano i giocattoli per bambini disabili. Ausili terapeutici, giocattoli costruiti dalle cliniche, riproduzioni di giocattoli simili a quelli degli altri bambini, ma modificati dalle famiglie, nella migliore delle ipotesi qualche acquisto online nel mercato statunitense con costi di spedizione spesso molto elevati. Da lì l’idea di progettare qualcosa di migliore per tutti i bambini, sia da un punto di vista dell’attenzione progettuale verso il giocattolo in quanto prodotto, sia soprattutto da un punto di vista dei contenuti. Servono giocattoli ideati per essere “giocabili” da tutti: il gioco per sua natura deve favorire lo sviluppo cognitivo, sensoriale, motorio e sociale». Per capire meglio il progetto Look at Me!, abbiamo incontrato la fondatrice Anna De Vecchi.

Come nasce poi praticamente l’idea di Look at Me (LAM!)?

«Proprio sul concetto di “sociale” ho improntato la mia proposta progettuale a un bando denominato FVGlabor, promosso dall’Unione delle Province del Friuli Venezia Giulia e finanziato dal Dipartimento della Gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri a gennaio di quest’anno. A quel punto, rendendomi conto della complessità della proposta di creare servizi e prodotti “design for all” destinati al mondo dell’infanzia, ho coinvolto nel mio progetto la dottoressa Giovanna Culot, consulente manageriale con esperienza in Bocconi e master MBA negli USA. Nasce così il LAM project a cui seguirà, di lì a pochi mesi con la vittoria del bando, Look at Me. Per la riuscita di questo progetto abbiamo contattato cliniche di eccellenza a livello italiano e ora ci stiamo espandendo sul territorio europeo; abbiamo stabilito connessioni tra diversi mondi, quello della scienza, quello delle famiglie e delle associazioni che si occupano di bambini affetti da vari tipi di disabilità e il mondo dell’imprenditoria. Look at me è un ponte, un progetto che va oltre il giocattolo in quanto prodotto. Stiamo lavorando infatti su spazi museali, organizzazione di eventi volti a sensibilizzare l’opinione pubblica verso il tema della disabilità infantile, stiamo costituendo un’associazione per attività sul nostro territorio e naturalmente ci occupiamo di progettazione di giocattoli sia tradizionali (primo approccio fascia 0-3) sia a tendere giocattoli tecnologici, con sviluppi nel mondo dell’interazione tra oggetto e persona, al fine di favorire sempre e comunque lo sviluppo del bambino, secondo le sue esigenze e la sua età. Vogliamo che attraverso il gioco i bambini apprendano che la diversità non è un ostacolo ma un modo di percepire il mondo semplicemente diverso da quello comune, e crediamo fortemente che dando a tutti i bambini gli stessi strumenti per affrontare la crescita e l’accettazione all’interno di un gruppo di coetanei, sia un modo per creare un domani adulti più collaborativi e attenti alle problematiche del sociale».

Con quale tipologia di prodotti si presenta Look at Me (LAM!)?

«Partiremo da una linea 0-3 sia per ragioni logiche di sviluppo del bambino nella sua prima infanzia, sia perchè il giocattolo tradizionale occupa uno spazio notevole nell’intervenire sullo sviluppo armonico del bambino quando il suo cervello è ancora così plasmabile. Non sottovalutiamo, inoltre, che in questa fase la propensione all’acquisto è totalmente in mano al genitore o all’adulto (nonni, amici) e dai questionari che abbiamo lanciato online (uno per famiglie di bambini cosiddetti “normodotati” e uno per famiglie di bambini disabili) ci sono molte più attenzioni rispetto agli anni precedenti verso giocattoli “utili” o favorevoli allo sviluppo del bambino. Non si subiscono gli acquisti passivamente, le famiglie – se possono- vogliono scegliere. E avere il meglio per i loro bambini. Abbiamo anche sondato la propensione di spesa, i canali distributivi attuali e quelli potenzialmente in crescita, e vagliato varie ipotesi su come veicolare il prodotto a livello di marketing. Saranno in parte prodotti esistenti ma adattati secondo le indicazioni che ci sono state date dalle cliniche e dalle famiglie, sulla base di un’indagine che dura ormai da mesi su una “critica all’esistente”, che consisteva nel compilare delle schede create da noi con i giocattoli più venduti di marche molto note in Italia e in Europa e le persone coivolte dovevano, a più livelli e secondo differenti competenze, dare un giudizio sul giocattolo e proporre eventuali modifiche o motivare la critica. Questo è stato un importantissimo punto di partenza. Contestualmente siamo alla ricerca di partner tecnologici per lo sviluppo non solo di app, ma anche di sistemi di interazione per la fascia 4+, poichè ci rendiamo conto dell’importanza di innovare il mercato del giocattolo, ma strutturandolo con logica. Una fetta importante della progettazione poi la occupa l’ideazione di spazi e attività multisensoriali nelle aree museali attrezzate, al fine di avvicinare i bambini all’arte e alla possibilità di condividere momenti assieme ai coetanei e fare rete tra loro, magari lasciando il tempo ai genitori di visitare una mostra o rilassarsi un paio d’ore».

Quando e con che tipologia di distribuzione saranno presenti sul mercato?

«Per il momento stiamo valutando alcune strade, sicuramente avremo il controllo del canale e-commerce, ma vorremmo entrare nel mercato con un partner con una distribuzione molto forte anche nel resto d’Europa e in particolare negli USA, dove il tema della disabilità è molto sentito e ci sono già diverse associazioni che seguiamo da vicino che potrebbero essere validi punti di partenza per far conoscere il prodotto».

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