Il reclamo, una leva di fidelizzazione del cliente

Proprio quest’anno il suo “Grazie per il reclamo! Come trasformare i clienti insoddisfatti in clienti fedeli” edito da Franco Angeli viene ripubblicato per l’ottava volta. Segno evidente che Alberto Fedel, oggi amministratore di Nova Innovazione nel Management, ha avuto buon fiuto nell’intuire che il tema della corretta gestione del reclamo è cruciale, soprattutto in un momento come l’attuale in cui da ogni parte viene ribadito il concetto della centralità del cliente. Babyworld lo ha incontrato per farsi spiegare quale sia l’approccio che consente di affrontare un reclamo accontentando un cliente e, arrivando addirittura, a legarlo a sé in un positivo rapporto di fiducia.

Nonostante dichiarino di aver messo il cliente al centro, molte aziende non gestiscono bene il reclamo. Come mai?

L’idea prevalente è che il cliente abbia diritto di reclamare solo se è stato vittima di un disservizio. Tanto è vero, che, quasi sempre, quando si riceve una lamentela parte l’interrogatorio per capire se effettivamente questo disservizio c’è stato. Invece, il reclamo andrebbe visto per quello che è: un segnale di insoddisfazione e di non corrispondenza tra ciò che ci si aspettava e ciò che si è ricevuto” e un’imperdibile occasione per individuare possibili aree di miglioramento.

Un altro errore ricorrente è che nelle aziende l’idea del reclamo viene per lo più associata all’immagine di una persona che protesta, gridando a gran voce. In realtà, nella maggior parte dei casi non è così. Se in un ristorante viene servita una bistecca dura come il marmo, la maggior parte dei clienti si limita a lasciarne tre quarti sul piatto e a spiegare al cameriere che “non ha fame”. Il problema è che questo che altro non è se non un chiaro segnale di insoddisfazione, non viene quasi mai letto come un reclamo e, quindi, non dà adito ad alcun tentativo di recuperare la situazione. Il cliente non protesta – perlomeno non in modo scoperto, perché dopo lo farà, eccome, con i suoi amici e conoscenti – in quanto pensa che non sarà ascoltato. Dimostrare di saperlo fare rappresenta un salto di qualità e un’esperienza così sorprendente da stimolarlo a parlare della bravura con cui il cameriere è intervenuto e non della bistecca che gli è stata servita. Nell’attuale piazza digitale, questo significa che potrebbe influenzare positivamente un numero rilevante di persone.

Il reclamo è indubbiamente un momento di crisi nella relazione cliente – azienda, ma, se ben gestito, diventa un’opportunità, perché favorisce l’instaurarsi di quel rapporto fiduciario che è considerato un vero asso nella manica da qualsiasi organizzazione.

Per tutti questi motivi l’attività prevalente di un’impresa dovrebbe essere quella non tanto di rispondere prontamente ai reclami classificati come tali, ma piuttosto di riuscire a intercettare quelli non espressi, come ad esempio, la distrazione, l’insofferenza o la fretta espressi da un cliente alle prese con un addetto alle vendite che non soddisfa le sue esigenze.

Invece, manca una vera cultura del servizio. Cartelli come quelli che campeggiano in molti parcheggi di negozi e centri commerciali nei quali “si declina ogni responsabilità per eventuali furti o danneggiamenti” o le procedure astruse e complesse per l’inoltro di reclami normalmente adottate stanno a dimostrare che per lo più il cliente è visto come qualcuno da cui difendersi e il reclamo come un fastidio da evitare a ogni costo.

Cosa si dovrebbe fare invece?

Innanzitutto, reclamare dovrebbe facilissimo. Inoltre, chi lo accoglie deve sempre occuparsi prima della persona e solo dopo del problema. In altre parole, a fronte di un cliente che si lamenta, la prima reazione non deve essere cercare di stabilire se il disservizio si è effettivamente verificato ed, eventualmente, di chi è la colpa. Occorre piuttosto impegnarsi a capire quanta delusione, quanta “sofferenza” è stata causata a quel cliente e provvedere a rassicurarlo sulla nostra comprensione. Solo a quel punto, dopo aver creato una situazione di rapporto positivo e di fiducia, si può passare ad affrontare il problema.

In un negozio di Prima Infanzia, spesso l’insoddisfazione nasce anche dal fatto che gli stessi genitori, non sempre hanno consapevolezza delle loro stesse esigenze…

In questo come in tutti gli altri casi, l’approccio deve essere “indifferente alla colpa”. Il tema non è stabilire se ci sia stato o meno un errore e chi ha torto o ragione. Il vero punto, è che il cliente aveva delle aspettative diverse e lo scopo è riuscire a mandarlo a casa più contento di quando è entrato. L’errore da evitare è assumere un atteggiamento che venga percepito come indifferente rispetto al problema sollevato. Soprattutto nella prima fase, occorre fare in modo che il cliente e la sua insoddisfazione siano al centro dell’attenzione in modo da farlo sentire compreso. Questo fa sì predisponga positivamente fino ad arrivare anche eventualmente a riconoscere di non avere il diritto di reclamare.

Nel suo libro lei introduce il concetto della Service recovery. Di che cosa si tratta?

La service recovery è il recupero del livello di servizio. Il cliente che ha il maglione bucato dà per scontato che il negoziante glielo cambierà. Lo considera il minimo. Cambiare il prodotto difettoso è la seconda occasione che, però, non cancella la delusione di prima. Fare il proprio dovere o mantenere le promesse vuol dire accontentare il cliente. Il gioco della soddisfazione comincia dopo, quando si riesce a sorprenderlo con qualcosa di inaspettato che, però, corregge in modo tangibile l’impressione iniziale, che diventa positiva. Per ottenere questo risultato, non solo tutto il personale di contatto deve essere adeguatamente formato, ma deve anche vedersi riconoscere un potere e la discrezionalità di decidere, entro certi limiti, come gratificare il proprio cliente. E questo vale anche per le situazioni in cui l’insoddisfazione non dipende dall’azienda, come nel caso di un ristorante che avendo tutti i tavoli occupati non è in grado di accogliere un cliente senza prenotazione. Al riguardo considero da manuale un caso di cui sono stato testimone. Trovandosi di fronte a una coppia senza prenotazione che non era in grado di far accomodare, il titolare di un’enoteca si è scusato offrendo “un buon bicchiere di vino, perché vi siete disturbati a venire fin qui”. Risultato, la coppia ha accettato il rifiuto di buon grado. Tanto da prenotare per una delle sere successive.

Un cliente che entra oggi è un tesoro, mostrarsi indifferenti ai suoi desideri è pura follia. Anche se non si è in grado di servirlo, occorre dedicargli attenzione, mostrare di essere disposti a fare tutto il possibile per farti contento.

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