Il tribunale di Stoccarda dà ragione a Ravensburger. Sì all’Uomo Vitruviano

I giudici tedeschi hanno messo un freno alla sentenza del tribunale di Venezia che costringeva Ravensburger a pagare per l'uso dell'immagine della celebre opera di Leonardo per un puzzle
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Un anno fa decisione del tribunale di Venezia aveva dato risposta, con un’ordinanza cautelare, dopo il ricorso presentato dal ministero della Cultura e dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia contro le società italiane e tedesche Ravensburger AG, Ravensburger Verlag GmbH e Ravensburger s.r.l. che distribuiscono sia in Italia che all’estero dal 2009 puzzle del celebre Uomo Vitruviano senza pagare i diritti. Ora la Germania, per la precisione il tribunale di Stoccarda, boccia la richiesta dell’Italia di imporre a un’azienda tedesca di pagare per l’uso dell’immagine della celebre opera di Leonardo conservata a Venezia per un puzzle, così come riportato dal Corriere della Sera.

Ravensburger Uomo Vitruviano

Secondo i giudici tedeschi, «Ogni ordinamento giuridico nazionale è limitato al rispettivo territorio nazionale. Questo principio di territorialità è generalmente riconosciuto dal diritto costituzionale internazionale ed è espressione della sovranità di ciascuno Stato. Ciò significa che una legge italiana, come questa per la tutela del patrimonio culturale, è valida solo sul territorio italiano».

La causa era stata aperta a trattativa fallita tra Ravensburger, che aveva proposto 250 euro e il 10% delle vendite, e le Gallerie dell’Accademia di Venezia, con quest’ultima che aveva chiesto alla magistratura di inibire a Ravensburger «in Italia e all’estero, l’utilizzo a fini commerciali dell’immagine dell’opera». Tesi ripresa in una sentenza del Tribunale ordinario di Venezia nell’ottobre 2022 e poi “girata” ai giudici tedeschi. Un tentativo di provvedimento ingiuntivo a livello mondiale che si sapeva fosse piuttosto temerario, come spiegato già più di un anno fa dalla Corte dei conti: «Le trasformazioni radicali che il digitale ha prodotto nella nostra società invitano ad abbandonare i tradizionali paradigmi “proprietari”, in favore di una visione del patrimonio culturale più democratica, inclusiva e orizzontale. Le forme di ritorno economico basate sulla “vendita” della singola immagine appaiono anacronistiche e largamente superate poiché, peraltro, palesemente antieconomiche».

Open Access cambia le regole

Tanto che l’ottobre scorso «L’Open Access ha da tempo dimostrato di essere un potente moltiplicatore di ricchezza non solo per le stesse istituzioni culturali (si vedano le ben note best practices nazionali ed internazionali), ma anche in termini di incremento del Pil ed è quindi considerato un asset strategico per lo sviluppo sociale, culturale ed economico dei Paesi membri dell’Unione. L’introduzione di un “tariffario” siffatto pare, peraltro, non tener conto né delle peculiarità operative del web, né del potenziale danno alla collettività da misurarsi anche in termini di rinunce e occasioni perdute; ponendosi, così, in evidente contrasto anche con le chiare indicazioni che provengono dal Piano Nazionale di Digitalizzazione (PND) del patrimonio culturale».

Il concetto di “proprietà esclusiva e sovrana” delle immagini del patrimonio culturale sono quindi ormai superati dalla direttiva europea Open Data: i dati a disposizione degli Stati possono esser usati liberamente dai cittadini. Un esempio è il fatto che dal 2022 gli Staatliche Museen zu Berlin, ovvero i musei statali di Berlino, mettono a disposizione di tutti gratuitamente (anche a scopo di lucro) le foto in alta definizione di “270.000 oggetti di varie epoche e regioni da scoprire, esplorare e indagare online”.

Una sentenza, quella del tribunale tedesco su Ravensburger Uomo Vitruviano, che ha fatto fare dietrofront anche al governo Meloni, costringendolo a rivedere il Decreto Ministeriale 161 del 2023 sul tariffario delle immagini che aveva sollevato grandi critiche per l’esosità dei costi e le difficoltà burocratiche.

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