L’innovazione non chiede permesso. Costruire il domani digitale

La digitalizzazione irrompe nelle nostre vite offrendo straordinarie opportunità e aprendo la strada a rischi fino ad ora sconosciuti. E proprio da questo dualismo tra l’incedere – per sua natura inarrestabile – del progresso e le correlate istanze di sicurezza, individuale e collettiva muovono le riflessioni di Luca Tomassini, fondatore, presidente e amministratore delegato di Vetrya e autore del volume “L’innovazione non chiede permesso. Costruire il domani digitale”, edito da Franco Angeli.

Da cosa nasce la resistenza alla trasformazione in atto che si registra anche in alcune aziende, nonostante coinvolga persone che più o meno consapevolmente già ne usufruiscono?

Ogni cambiamento genera una resistenza. Se però teniamo conto che il cambiamento cui stiamo assistendo non segue più un andamento logaritmico, vale a dire lineare, ma esponenziale, si capisce bene che produttori e distributori che hanno fondato il proprio business su modelli, regole, standard di sostenibilità attualmente messi in discussione facciano fatica non solo a comprendere, o addirittura a cavalcare, ma persino ad accettare la trasformazione. Nel libro definisco questo come “l’insostenibile protezionismo del digitale”.

Come devono agire per affrontare in modo consapevole la trasformazione digitale?

Come lei ricordava, gli stessi neoluddisti sono a loro volta utilizzatori talvolta entusiasti delle nuove tecnologie: ciò non toglie che restino ingenui, dunque maggiormente esposti ai rischi che essi stessi paventano. Per questo sostengo che una solida iniezione di conoscenza possa utilmente funzionare da antidoto all’analfabetismo digitale: parlando di contesti organizzativi, è necessario intraprendere un solido programma di formazione, che susciti nei componenti dell’organizzazione la coscienza delle potenzialità che la tecnologia mette a disposizione di ciascuno e di tutti. In altri termini, più che “selezionare” le singole tecnologie disponibili, è necessario generare un corto circuito virtuoso tra le straordinarie possibilità aperte per il singolo e le grandi opportunità che l’azienda può cogliere grazie alla trasformazione digitale, puntando al cambiamento del mindset complessivo.

Tecnologie come l’Intelligenza Artificiale o la realtà aumentata possono portare anche a una ridefinizione del concetto stesso del prodotto Giocattolo?

Assolutamente. Complice la trasformazione digitale, ci muoviamo ormai in mercati orientati al servizio, più che al prodotto: questo perché i clienti più che una merce cercano un’esperienza unica, sostenuta da un rapporto con il brand che si è fatto sempre più diretto e personale. In questo senso, tecnologie come l’Intelligenza Artificiale, che consente tra l’altro un’interazione sempre più ritagliata sul singolo individuo, e la realtà aumentata, che amplia gli orizzonti dell’esperienza, sono potenti acceleratori di business. Se poi si parla di un prodotto come il giocattolo, che di per sé vive in una relazione profonda con il suo utilizzatore, e genera un’esperienza che non può essere meno che soddisfacente, si capisce subito quali potenzialità possano schiudersi da questo genere di innovazioni.

Lei sostiene che le aziende interessate a mantenersi attive nel retail devono tenersi aggiornate in ambito digitale. In Italia le insegne della Grande Distribuzione hanno cominciato a farlo? E i negozi tradizionali?

Sicuramente il percorso è iniziato, ma vedo ancora molta strada da percorrere: la maggior parte dei punti vendita, che si tratti di grandi catene o di singoli esercizi, è ancora completamente a digiuno non solo di tools di automazione per la gestione della logistica, del magazzino e dello scaffale, ma anche di strumenti per la navigazione indoor, per il riconoscimento del cliente all’ingresso e la proposizione d’acquisto personalizzata: tutti basati sulla valorizzazione dei dati dei clienti, che, sempre nel rispetto delle norme sulla privacy, consente di instaurare quella relazione privilegiata la cui mancanza spinge oggi sempre più spesso gli acquirenti verso l’e-commerce.

Tenersi aggiornati in ambito digitale è la conditio sine qua non che consentirà anche ai negozi tradizionali di restare competitivi?

È condizione certamente necessaria, non so se sufficiente. Sarà necessario orientare sempre più la propria attività, come dicevamo poco fa, in un’ottica di servizio e di customer experience, che deve guidare l’organizzazione del punto vendita in tutti i suoi aspetti. Non è solo questione di digitale: il commesso scortese, troppo occupato per darci retta o latitante, del quale racconto ironicamente nel mio libro, deve diventare un retaggio del passato, per lasciare il posto a un orientamento totale verso la massima soddisfazione possibile del cliente, unica garanzia della possibilità che continui a scegliere il suo acquirente.

Molti retailer tradizionali motivano la loro “resistenza” con l’entità degli investimenti richiesti e con la mancanza di una adeguata conoscenza delle tecnologie digitali. Ha un consiglio da dare loro?

Anche qui va sfatato qualche mito: gli strumenti per realizzare alcune delle innovazioni delle quali le parlavo poco fa sono disponibili a costi relativamente ridotti, e imparare a utilizzarli è alla portata di chiunque maneggi uno smartphone, dal momento che la logica sulla quale si basano nella gran parte dei casi è quella stessa delle “app” che ci sono tanto familiari. Il punto vero mi sembra quello di superare la diffidenza, magari nutrita dalla segreta convinzione che si possa comunque continuare ad andare avanti come si è sempre fatto. Un po’ come se pretendessimo di passeggiare sui binari del treno proprio mentre il treno sta arrivando di fronte a noi, convinti che alla fine si scanserà. E invece, tornando al punto dal quale siamo partiti, non solo non si scanserà, ma non chiederà neppure permesso: sta a noi prenderlo in tempo, saltare a bordo e farci portare verso il futuro.

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