“Il consumatore non pensa a quello che fa, non dice che cosa pensa e non fa quello che afferma di fare”. Così già negli anni 50 un pubblicitario descriveva un meccanismo ben noto agli specialisti del marketing che, di recente, è stato confermato anche dagli studi di neuroscienza secondo cui, ad esempio, ben il 95% delle nostre decisioni avviene in maniera inconscia e irrazionale ed è influenzato dalle emozioni, dai sensi e dall’istinto. E questo, tra le altre cose, mette in crisi l’assunto alla base di molte strategie di marketing secondo cui le decisioni di acquisto dei consumatori maturino in un contesto razionale. La crescente attenzione riservata al neuromarketing, la disciplina che combina le neuroscienze, l’economia e la psicologia per comprendere il comportamento del consumatore, nasce proprio dalla necessità di migliorare l’efficacia delle strategie di marketing e comunicazione. Il motivo lo ha spiegato Damiano Donati, partner di Inema, società specializzata in operations management, intervenendo lo scorso 10 marzo al Convegno Retail Innovation 11: “Ancora oggi, il marketing si basa su ricerche di mercato che attraverso Focus Group, interviste e domande specifiche chiedono direttamente al consumatore di dire cosa vuole. Questo metodo, però, provoca centinaia di fallimenti. L’85% delle ricerche legate a innovazione di prodotto e di servizio sono bucate di fatto dai metodi tradizionali. Andiamo al neuromaketing, perché – visto che le persone tendono a dire una cosa, mentre il loro comportamento ne suggerisce un’altra – dobbiamo capire quali sono le loro reali motivazioni, in modo da generare valore per le imprese”.
Per fare questo occorre rifarsi al funzionamento delle tre aree che si possono individuare nel cervello: il New Brain, la corteccia cerebrale che è propria dell’uomo, la Middle Brain, il cervello limbico e l’Old Brain, il cervello primitivo, perché, come ha spiegato Donati: “le neuroscienze hanno dimostrato che il New Brain pensa, il Middle Brain sente e l’Old Brain decide. Questo significa che solo collegando e misurando i processi decisionali con le reali dinamiche antropologiche e neurologiche da cui scaturiscono, si riuscirà a “tarare“ la strategia per il successo”.
Pensa che al marketing serva un nuovo approccio anche Arianna Trettel presidente di Brainsigns, società che fornisce alle industrie servizi basati sulla registrazione di segnali fisiologici di attività cerebrale e di reazione sensoriale. Intervenendo lo scorso 17 marzo al convegno “Neuromarketing e Shopping Behaviour” organizzato a Milano nell’ambito di Shop Expo, ha infatti rilevato che una questione “non indifferente” con cui si confronta oggi il marketing è che al contrario di quanto si tende a credere, gli studi di cui disponiamo dimostrano che prima proviamo un’emozione, formuliamo una decisione o un desiderio e, solo dopo, agiamo. “Siamo tutti portati a pensare” ha spiegato la Trettel, “che bisogna attirare l’attenzione, informare e persuadere e fare in modo di ricordare queste motivazioni razionali e questi elementi di persuasione sul punto vendita. L’argomentazione logica è sempre considerata importante e l’idea è che questo debba avvenire attraverso meccanismi coscienti. Ma se il driver fondamentale è l’intuizione, bisognerà cominciare a lavorare a un meccanismo diverso, più intuitivo”. L’obiettivo è creare un’associazione emotiva al prodotto particolarmente positiva sfruttando questi meccanismi inconsci e lavorando prima sul messaggio e dopo sul punto vendita che diventa un territorio mediatico e un elemento fondamentale di attivazione e di esperienza”. Studi condotti negli Usa hanno dimostrato che quando in un supermercato il cliente arriva a tre o quattro passi dallo scaffale si attivano delle reazioni fisiologiche, di emozione e di attribuzione di valore misurabili. E proprio la disponibilità delle tecnologie e della capacità interpretativa per misurare e valutare correttamente le risposte istintive del consumatore consente al neuromarketing di promuovere un cambio di paradigma fondamentale. Ne è convinto Luca Fiorentino founder e ceo della società di consulenza Ottosunove. “ Comprare è decidere”, ha esordito intervenendo al convegno “Neuromarketing e Shopping Behaviour”, “ma se questi sono i meccanismi da cui scaturisce questa decisione è evidente che un approccio neuromarketing è fondamentale, perché consente di misurare anche le reazioni inconsce a livello di attenzione e di emozione”. In un ambiente sempre molto affollato come il punto vendita, per un brand farsi notare diventa molto difficile. In questo contesto, ha osservato Fiorentino “usare il neuromarketing per testare l’efficacia delle comunicazioni aiuta a individuare i punti su cui si concentra il consumatore in modo da rendere più efficienti le attività di comunicazione e marketing”.
Un altro valore aggiunto di questa nuova disciplina è che consente di misurare anche il variare del livello di attenzione del consumatore mentre si trova nel punto vendita. “La battaglia sul punto vendita”, ha osservato Fiorentino, “è anche soddisfare il famoso bisogno inespresso del consumatore. Il che significa farsi notare in modo che sposti la sua decisione di acquisto o aggiunga altri prodotti a quelli che aveva previsto di comprare”. Il problema è che quando non siamo focalizzati e non stiamo guardando con attenzione lo scaffale, lo vediamo come un insieme indistinto, perché il nostro cervello tende a non processare le informazioni in quel momento non rilevanti. È per questo che pack di prodotti anche molto diversi tra loro possono essere percepiti come simili. “Il tema dell’attenzione “, ha proseguito Fiorentino, “è fondamentale sia nel caso in cui stiamo cercando un tipo di attenzione bottom up – devo farmi notare dal consumatore mentre è davanti allo scaffale e si sta facendo un’idea – sia quando cerchiamo un tipo di attenzione top down, in cui il consumatore è entrato cercando un certo prodotto e occorre fare in modo che lo individui in un ambiente caratterizzato da un overload di informazioni”. Al riguardo è illuminante una ricerca olandese. Durante una visita al supermercato, che in media dura 26 minuti, il consumatore olandese seleziona soltanto 300 delle 20/30 mila referenze proposte, perché il suo cervello seleziona esclusivamente ciò che per lui è rilevante o è abituale. Il dato interessante è che, anche l’attenzione si può misurare, andando, ad esempio, a vedere attraverso l’eye tracking quali sono i punti su cui lo sguardo si sofferma di più. “È anche possibile ” ha spiegato Fiorentino, “misurare i punti di attenzione all’interno del punto vendita per capire in che modo il consumatore guarda una testata di gondola, quanto tempo, rispetto al totale della visita, le dedica e quali sono le zone a cui ha riservato più attenzione”. Le ricadute operative possono essere importanti. Un test condotto da Ottosunove in collaborazione con Bsh ha consentito, ad esempio, di stabilire che davanti a una lavatrice esposta il consumatore si focalizza in particolar modo sull’area tra l’oblò e la manopola e sulla scheda tecnica. Ne consegue che un messaggio posizionato in quell’area sarà sicuramente più efficace e che forse non è il caso che la marca deleghi l personale di vendita il compito di redigere la scheda tecnica.
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