“La shopping experience aiuta ad alzare lo scontrino medio”

Nell’attuale situazione di prolungata crisi economica, i produttori e il canale distributivo devono rivedere rapidamente la propria strategia di vendita abbandonando la focalizzazione sul prodotto e sulle sue caratteristiche e funzionalità per provare a sostenere le proprie vendite andando a far leva sulla componente esperienziale ed emozionale della relazione con il cliente. Nasce dalla consapevolezza della necessità di questa evoluzione il moltiplicarsi in tutti i settori delle attività di marketing imperniate sulla costruzione di un’esperienza di acquisto che possa essere percepita come unica e insostituibile dal consumatore, tanto da riuscire a non soltanto a convincerlo a decidere l’acquisto di un certo prodotto presso un determinato punto vendita, ma, addirittura, da fidelizzarlo al brand, del costruttore, ma anche del retailer, in modo da assicurarsi di essere se non scelti, almeno attentamente considerati, anche in occasione dei futuri acquisti. Soprattutto, in un contesto che vede i consumatori muoversi tra off line e on line alla ricerca delle situazioni più convenienti, la shopping experience diventa una leva con cui provare a garantire al proprio punto vendita il ruolo di touch point fondamentale in un sistema di interazioni che è diventato decisamente più ampio rispetto al passato. Abbiamo chiesto di spiegarci quali sono le ricadute che il retailer può legittimamente attendersi a Elisabetta Savelli – docente e ricercatrice di Marketing dell’Università degli Studi di Urbino Carlo BO e autrice del libro “Entertainment e Centri Commerciali: nuove opportunità di differenziazione experience-based”, edito da Franco Angeli.

Perché un normal trade dovrebbe investire nella shopping experience?

«Negli ultimi anni, la gestione del retail ha dato testimonianza di un progressivo spostamento del focus dal miglioramento dell’efficienza operativa al consumatore. Le leve tradizionali utilizzate per competere (quali l’ampiezza, l’assortimento, le promozioni di prezzo) da sole non sono più sufficienti per attrarre i clienti. Occorrono piuttosto nuove strategie in grado di valorizzare la soggettività dell’esperienza individuale.

Le spinte ad andare in questa direzione provengono sia dal lato dell’offerta che della domanda. A livello di sistema, l’affermarsi di fenomeni strutturali e competitivi sempre più complessi, quali la store erosion (ossia, il naturale processo di invecchiamento del punto vendita) e il crescente grado di internazionalizzazione del trade, oltre alle difficoltà imposte dalla crisi economica ancora in corso, contribuiscono ad aumentare il livello di competizione orizzontale costringendo gli operatori della distribuzione a ricercare continuamente nuove modalità di differenziazione. A livello di domanda, si assiste a un’evoluzione dei modelli di consumo e acquisto per cui gli individui ricercano sempre più di vivere situazioni di shopping in grado di esaudire, contemporaneamente, le proprie esigenze emozionali ed edonistiche, oltre che quelle razionali e funzionali. In epoca postmoderna serve, dunue, un approccio che prenda sul serio il cliente, che non si focalizzi solo sugli attributi del prodotto e sulle transazioni, ma che possa fornire una visione totale della sua esperienza di consumo ed acquisto. Ed è proprio su questo che insiste la shopping experience, considerando il consumatore come un individuo completo, che utilizza sia processi cognitivi che affettivi, ed ammettendo la necessità di porre l’individuo al centro dell’attenzione per poterne comprendere a fondo le sue aspettative e richieste».

La shopping experience aiuta ad alzare lo scontrino medio? A quali condizioni?

«Se da un lato la shopping experience può aiutare a limitare il fenomeno dello showrooming puntando su un programma di loyalty innovativo e distaccato dalle logiche scontate di prodotto e di prezzo, dall’altro può aiutare il retailer ad innalzare il livello di scontrino medio per almeno due motivi. Anzitutto, se si riesce ad offrire un’esperienza di shopping gratificante, si incrementa la store loyalty. Un cliente fedele si sente rassicurato dal proprio punto vendita e questo può favorire una convergenza dei suoi acquisti all’interno del punto vendita stesso. Immaginiamo un negozio per l’infanzia multi specializzato, che vende prodotti alimentari, abbigliamento, giocattoli ed attrezzature varie per i bambini. Il cliente fidelizzato, anziché rivolgersi a vari negozi, potrebbe preferire acquistare i prodotti delle diverse categorie all’interno dello stesso punto vendita, raggruppando i suoi acquisti nella stessa shopping expedition. Questo, a sua volta, potrebbe contribuire ad ampliare le possibilità di soddisfare la componente esperienziale del processo di consumo innescando un efficace circolo virtuoso.

In secondo luogo, la shopping experience tende a determinare un prolungamento del tempo di permanenza del consumatore: se l’individuo trova piacevole stare nel negozio, è attratto dall’ambientazione fisica e vive la fase di acquisto con tranquillità, è probabile che l’importo del suo scontrino finale aumenti. Il consumatore attratto, divertito e coinvolto è, infatti, più propenso ad acquistare, perché è più sereno nelle sue valutazioni e gratificato nei suoi comportamenti».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
In caso di citazione si prega di citare e linkare toystore.biz