Mercati esteri: come affrontarli

Come si implementa un processo di internazionalizzazione?

«Innanzitutto con pazienza, perseveranza, metodo, raziocinio e capacità di analisi. Un processo di internazionalizzazione deve essere organizzato in maniera metodologica e strutturata, non può avvenire sulla base di una mera emulazione nei confronti del diretto concorrente o sull’istinto. Proprio perché andare all’estero oggi rappresenta una condizione essenziale per le imprese, si tratta di una scelta che deve avvenire in modo chiaro e meticoloso. In primo luogo, l’azienda deve interrogarsi sulla propria struttura interna facendosi le opportune domande (ad esempio: abbiamo a disposizione un Export Manager? Abbiamo già avuto esperienze all’estero? Siamo in grado di far fronte economicamente ad un’attività di internazionalizzazione? ecc.). In secondo luogo, deve definire in maniera precisa quali mercati approcciare e le modalità strategiche per affrontarli, analizzando in maniera accurata se il proprio prodotto possa effettivamente risultare vincente all’interno di Paesi diversi dal nostro. E’ necessario, dunque, capire il “dove” e il “come” in funzione dei mercati, dell’azienda e del prodotto, attraverso una “diagnosi” dettagliata».

Quali sono le difficoltà che limitano le imprese italiane?

«Innanzitutto la carenza di una cultura legata all’internazionalizzazione e la mancanza di risorse economiche. Se per la prima si può però affermare che il vento stia cambiando e che molte aziende hanno perfettamente compreso che andare all’estero rappresenta una condizione essenziale, la seconda rappresenta ancora un limite ed è un peccato. Vi sono tante, tantissime PMI italiane in grado di poter vendere all’estero ma non di affrontare questo discorso da un punto di vista economico e di disporre di risorse interne adeguate. Tuttavia, anche in questo senso vi sono delle novità: oggi prende sempre più piede la figura del Temporary Export Manager, una figura professionale che lavora come consulente esterno ed affianca l’impresa nel percorso di business development estero, con costi contenuti. A tal proposito, il bando lanciato dal Ministero dello Sviluppo Economico, che prevede finanziamenti alle PMI per progetti export supportati da aziende che lavorano in modalità Temporary (tra le società accreditate vi è anche Octagona) va proprio in questa direzione».

È un’opportunità anche per la distribuzione?

«Le opportunità riguardano anche la distribuzione e, in particolar modo, il franchising che si configura sempre più come formula di grande interesse per le imprese, all’interno di un panorama retail che cambia in maniera molto rapida grazie alla diffusione del digitale. La crescita del franchising si registra a livello globale. In Italia il giro d’affari del comparto, che crea occupazione per quasi 200.000 persone e che rappresenta oltre l’1% del PIL, si attesta attorno ai 23 miliardi di Euro, con una presenza di circa 950 aziende franchisor e di 51.000 franchisee. Soprattutto, l’apertura verso i mercati internazionali rappresenta un fenomeno in continua ascesa: complessivamente sono 160 i brand italiani che hanno aperto punti vendita in affiliazione all’estero (circa 7.600 unità) e il 10% dei brand attivi in Italia sono esteri. Tutto lascia presupporre che tali cifre siano destinate ad aumentare negli anni a venire».

L’e-commerce, magari attraverso il market place può essere un primo concreto passo per avviare un processo di internazionalizzazione?

«Senza alcun dubbio. L’e-commerce rappresenta oggi non solo una piattaforma dal potenziale esplosivo e in continua crescita, ma anche tra quelle che possono favorire il processo di internazionalizzazione in maniera più semplice. In Italia oggi si assiste ad un vero e proprio boom dell’e-commerce: il mercato degli acquisti sul web in Italia vale 16.6 miliardi di Euro e se è vero che il nostro Paese rimane ancora indietro rispetto a Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Francia (la quota dell’e-commerce sul totale delle vendite retail in questi Paesi è quattro volte superiore alla nostra) è altrettanto vero che l’ottimo trend prefigura interessanti prospettive per il futuro. Nel 2015, ad esempio, si è verificato in Italia un +16% rispetto al 2014, in termini di incremento delle vendite on-line».

A Suo parere quali potrebbero essere i Paesi su cui dovrebbe puntare un’azienda del comparto Prima Infanzia?

«Tra i cosiddetti BRICS, India (età media 27 anni) e Sudafrica (25.7) rappresentano indubbiamente i Paesi con maggiori opportunità. Il Subcontinente, in particolar modo, è alle prese con un vero e proprio boom demografico: basti pensare che in India vi sono quasi 120 milioni di bambini in una fascia d’età compresa tra i 0 e i 4 anni; inoltre il positivo outlook attuale dell’economia indiana rappresenta un ulteriore fattore di interesse. Anche il Brasile offre interessanti possibilità (età media 30.7 anni), ma in generale direi che quasi tutti i Paesi arabi (inclusi quelli del Nord Africa) e quelli del Sud-Est asiatico (soprattutto Filippine, Malesia ed Indonesia) offrono le prospettive più interessanti. In Europa, invece, da non sottovalutare il mercato turco».

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