Vendere senza le parole

Se chiedete a Alessandro Muscinelli e Laura Tentolini cosa rende eccellente un venditore, vi risponderanno che una delle chiavi è la coerenza tra la comunicazione verbale, che è puramente uditiva, e quella non verbale, che invece è emotiva. Questo perché, contrariamente a quanto si tende a pensare, a determinare scelte e comportamenti personali non è la parte uditiva, ma piuttosto quella istintiva.

In cosa consiste la comunicazione non verbale (CNV)?

È la comunicazione utilizzata dall’inconscio ed è formata dalla gestualità esplicita, dalla gestione degli spazi personali e da elementi paraverbali come l’accento, il tono, il volume della voce e le pause. Un vero e proprio linguaggio nascosto di cui in genere non si ha consapevolezza, perché si tende a dare priorità al linguaggio verbale, più esplicito e riconoscibile. Quando si parla di un punto vendita, la prima precisazione da fare è che anche l’ambiente fa parte della CNV, perché tutto – dalla vetrina fino al magazzino – è rappresentativo della psicologia e dei gusti di chi lo ha realizzato. E questo significa innanzitutto che deve esserci coerenza tra tutti questi ambienti, perché qualsiasi distonia impatta negativamente il potenziale cliente. Un altro aspetto da considerare è che nella CNV non tutto è consequenziale. Per individuare il vero significato di un gesto occorre collocarlo nel contesto e tener conto di altri segni, come la postura o il tono di voce, e una rosa di segnali da osservare.

Come si acquista questa consapevolezza della CNV?

Servono impegno, tempo ed esperienza. Si può cominciare guardando un tg o un film già visto senza audio e cercando di focalizzarsi sulle posture, sulle espressioni e sul modo di muoversi per provare a capire quali meccanismi si ripetono e si eguagliano. Di sicuro, per un negoziante è utile andare in un negozio che tratta articoli di cui non sa niente indossando i panni del cliente. E, magari, cominciare dalla vetrina per rendersi conto di quanto capisce di quello che comunica e, anche, di come reagiscono gli altri passanti. In questi casi è preferibile essere in due, per avere l’opportunità di confrontarsi.

Cosa rispondete ai negozianti convinti che la loro consolidata esperienza sia sufficiente?

Di farsi venire dei dubbi. Ad esempio, sono proprio sicuri che la loro esposizione comunichi effettivamente le caratteristiche della loro offerta e sia attraente entrare in negozio? Il rischio tipico di questo negoziante estremamente competente e bravo è che non riesce a riconsiderare sé stesso, il proprio negozio e il modus operandi del proprio personale partendo da una prospettiva diversa. Prendiamo il caso di un cliente che per la prima volta in vita sua deve comprare un passeggino. Entra in un negozio della Prima Infanzia e si trova davanti a tanti modelli esposti. La sua incompetenza gli impedisce di percepirne le differenze. Le stesse che all’occhio addestrato del negoziante appaiono subito evidenti. Mettersi dalla parte del cliente significa in questo caso, assicurarsi che l’esposizione metta in condizione chi entra di orientarsi da subito e, magari, che riesca ad attirare la sua attenzione su quello che più ci interessa vendere. Un passeggino messo a rovescio, ad esempio, colpisce, perché è diverso, sorprende. È anche utile fare tesoro di tutte le situazioni che accadono in negozio e, una volta che il cliente è uscito e a prescindere dall’esito, fermarsi tutte le volte che è possibile e ripercorrere le fasi del contatto: cosa ha guardato quel cliente, dove si è soffermato, ha salutato quando è entrato, come appariva, quali reazioni ha avuto… Aiuta a individuare i propri punti di forza, gli eventuali errori e, soprattutto, a capire come viene percepito il negozio. Nel rispetto delle normative vigenti, può servire anche andare periodicamente a rivedere i filmati delle telecamere di sicurezza installate in negozio per valutare il comportamento di ciascuno, dal titolare all’addetto alla vendita, con disponibilità e apertura al confronto.

Passiamo a due casi concreti. Il primo è un cliente che entra in negozio. Qual è il contributo della CNV?

Se non è un cliente acquisito chi entra ha un bisogno, ma non ha ancora deciso se si trova a suo agio. Il punto è distoglierlo dall’ansia dell’acquisto, tranquillizzarlo sul fatto che nessuno lo pressa, e che può orientarsi con calma per farsi le proprie idee. L’approccio deve essere professionale, rispettoso, aperto e pronto a cogliere i segnali in pochissimo tempo. Se l’abbigliamento è molto colorato, ne terrò conto nella scelta degli articoli da mostrargli. Se il cliente non mi guarda in faccia, molto probabilmente è una persona timida e, quindi, non devo aggredirlo subito. Quando comincia a parlare, devo ascoltarlo bene per trovare eventuali distonie o conferme a quanto mi è parso di capire. Deve essere il cliente a stabilire i tempi. Se si guarda intorno, gli dò il tempo di acclimatarsi. Se, invece, viene subito da me significa che vuole esaudire subito il suo desiderio e mi metto a disposizione con professionalità e gentilezza, ma senza piaggeria. Questi sono solo banali esempi di un mondo da esplorare.

Il secondo riguarda la vetrina. Come si fa a fare CNV?

La vetrina è l’ancora. Non tutti quelli che le passano davanti sono in target. Ciò non toglie che deve comunque attirare il loro sguardo e curiosità. La vetrina deve indurre a entrare chi è in target rassicurandolo che in quel negozio troverà ciò che gli interessa e magari risposte a dubbi che possa avere. Va da sé che, una volta dentro, non deve capitare che non trovi nessuno ad accoglierlo o che si trovi a constatare che le promesse della vetrina non trovano conferma. Anche in questo caso, vale la regola che occorre sorprendere, cercare di lasciare un segno. Una vetrina tutta di ciucci è qualcosa di inconsueto. Lo stesso vale se in uno spazio enorme campeggia una sola carrozzina o un biberon. La normalità degli oggetti rassicura, ma la presentazione inconsueta resta impressa.

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